Il mio incanto adolescenziale non ha mai previsto il Rock. Nel 1974, per esempio, quella struttura merceologica era in mano a scafatissimi personaggi che l’amministravano come pretesto a traffici tanto illegali quanto strumentali al controllo delle masse, tanto interessanti per la mia personale evoluzione interiore quanto le corse automobilistiche, o i quiz televisivi e i giornali di regime.
Guardai passare con sufficienza il crollo delle montature ridicole e devastanti, legate alla mitologia rock: nei primi settanta c’erano ancora le straordinarie personalità nere sopravvissute a Hendrix e Bitches Brew, un numero impressionante di caduti sulla strada delle tourneé massacranti e leggendarie, i patetici acts teatrali e ridondanti delle star glamour e svanite, una idea generale del rock come veicolo mercantile privilegiato e vendibilissimo, nulla che potesse davvero coinvolgere i miei coetanei affamati.
Differente la seconda metà dello stesso decennio, pure così cupa e tetra, in cui una debole rinascita dell’impulso primitivo del genere era in mano a poche facce emaciate e magrissime: Io e Paul Hewson dobbiamo averla vissuta allo stesso modo, in differenti regioni dello stesso mondo decadente e letterario, persi ambedue in una condizione creativa azzerata e sterile, alla quale si reagiva privi di una consapevolezza sufficiente. Lo incontrai la prima volta, lui ed i suoi compagni, in una sera londinese gelida e brillante, le vetrine del centro piene delle foto di un ragazzino sulle copertine dei dischi.
Comprendevo perfettamente l’urgenza del gruppo di incarnare, imbracciando scintillanti chitarre appena comprate con gli anticipi di una casa discografica importante, la maschera di eroi che condividevamo senza averli mai incontrati, senza davvero poter intuire l’autentica realtà della loro esistenza. Come si dice: avevamo vent’anni tutti quanti, e la mia simpatia per il gruppo si limitava ad una forte solidarietà disincantata e fraterna, la loro imperizia così simile alla mia.
Era davvero you too il senso del loro lavoro iniziale, a rappresentare un candore del tutto condivisibile, e del quale c’era bisogno assoluto. La loro quasi eroica mancanza di stile, affannata a prendere le distanze dal blues ma anche dalle gighe e dai reels; la loro uncoolness, così vitale ed antiromantica, ne fece per me un’immagine perfetta di irrisorietà e mancanza di genialità, alla quale aderivo del tutto, un minuto prima di prendere di nuovo le distanze. Feci un errore quella sera, importante e decisivo per la mia vita futura: non vidi il futuro del rock’n’roll.
Il rock, in una ipotesi mi rendo conto del tutto riduzionista, è la musica dell’incompetenza: ma è rock che chiamerei la musica degli U2, e se me lo permettete, di pochissimi altri. Il trash giovanilistico delle schitarrate a volume altissimo, dei tamburi picchiati con furia, dei bassi ampi e pervasivi oltre qualunque decenza acustica. Musica comunque, quando a tempo e a tono, priva di tossicità e ricca di compassione. Utile per la formazione di una personalità, il tratto distintivo di qualunque adolescenza tormentata, utile per la definizione della propria esistenza, quando questa venga messa insopportabilmente in dubbio.
Musica infine, destinata a colmare la totale mancanza di Maestà che fra di noi non è propria soltanto dell’adolescenza. Se abbiamo usato gran parte delle nostre forze nella cerca di un onorevole asse portante, che giustifichi la sopportazione di quell’occidente moderno il cui tratto essenziale è la mancanza di un senso qualunque della maestà necessaria, se abbiamo portato la bandiera della dignità della nostra mancanza di sapienza, lo dobbiamo anche agli U2. I quali dai margini di questo impero miserabile ed esclusivo hanno indicato ambiti di onore e vergogna di cui dobbiamo avere piena consapevolezza.
Venticinque anni dopo la pubblicazione di questo da me amatissimo lavoro, riconoscibile ora nella sua forma integrale, mi rendo conto di una portata, in termini di lucidità e chiaroveggenza, di purezza formale e autorevolezza essenziale, in grande parte inaudita. Quando venne pubblicato per la prima volta la sorpresa fu grande: la capacità di riunire forze immense ma frammentate, disperse in una letteratura elettrica incosciente di sè, fu infatti inevitabile fonte di felicità inaspettata. Come se i trascurabili dischi precedenti fossero solo formalità per essere ammessi al verbo.
Pareva un anno deludente, il 1984, e passò velocissimo per me che ero alle prese con brucianti questioni tecnologiche di affermazione professionale. La distanza con Bono si era fatta ampia e chiara: la sua disposizione mistica, attraverso la quale ricevette indicazioni forti e ferme sulla sua responsabilità nel guidare folle estese, mi pareva un po’ buffa ed incomprensibile, quanto quella di un giovane bosniaco che portasse nei teatri europei e nelle piccole arene americane la sua tecnica sofisticata da muezzin. Il gruppo si lanciava intanto in una sventata alternativa alle lussuose e vane ipotesi sonore dell’epoca.
C’è ancora una sorta di integrità speciale in questo gruppo, che da allora in poi trovò il fuoco necessario, la capacità di mantenerlo e seguire una direzione forte e chiara. Come i Ramones poggiavano su di una struttura quasi familiare, da compagni di liceo, al contrario di quelli sopravvissero alle enormi crisi di crescita più forti e sensati, esempio luminoso di come le grandi difficoltà siano l’unica fonte originaria dell’intelligenza. C’è ancora oggi una potenza nella voce di Bono, una luminosità nella chitarra di Edge, che non possono essere che indicate ad esempio ai giovani rockers, che sembrano non volersi estinguere mai.
In quell’esatto momento, all’inizio dell’estate Irlandese allo Slane Castle la connessione ideale si realizzò, in perfetta umiltà e calma: L’entusiasmo che non li avrebbe portati oltre da solo si decantò, senza stemperarsi, grazie alla lucidissima competenza di quel duo dinamico formato dalla coppia Eno & Lanois, produttori e mentori. Comprese l’importanza del suo lavoro, Bono, così come i due ne compresero la bellezza. Si fondarono attualmente le basi di qualunque rock a venire, bruciandone i resti in un indimenticabile fuoco.