L’idea di una musica soprattutto atmosferica, distratta cioè dalla celebrazione esclusiva di un ego solista frammentato e vagamente psicotico, non è estranea alla musica rock. La ricerca di una definizione utopica, condotta attraverso la costruzione di una luce condivisa e grazie al massiccio consenso pubblico, non è raro si spinga fino alla mitologia che, seppur sempre sospetta, non è sempre arbitraria.
In un certo senso molta parte dell’avventura rock, termine che consideriamo in una accezione molto larga fra il 1966 ed il 1974, deve la sua ragion d’essere ad una ampia enfasi sul suono d’insieme, ad una immersione ambientale e comunitaria di musicisti e pubblico. In questo circolo, che ci interessa finchè virtuoso, emerge a tratti il senso di una celebrazione autentica, carica di intensità relazionale.
Il sogno di una musica rock improvvisata, su di una tessitura semplice e compatta quanto comunicativa, è legata a questo formidabile gruppo di hipsters. Jerry Garcia, su invito di Phil Lesh e Mickey Hart, essendo il più anziano e qualificato, li guidò fino ai margini di uno dei culti più duraturi e amati della storia di questa musica.
La teoria è tanto semplice quanto improbabile: la sospensione della tonalità, il primato delle pentatoniche blues, l’enfasi su ritmi dinamici quanto elementari, la melodia arcaica e fondamentale, timbri e ampiezze fino ad allora inauditi. Il massimo della comunicabilità per avventurarsi ai limiti del previsto ed abbandonarsi alle gioie del momento.
Fu un culto gioioso, quello che accompagnò Garcia fino all’ultimo, fedelissimo e continuo. L’esperimento divenne familiare e confortante, e non fu mai la semplice routine di moltissimi gruppi più accreditati nelle billboard. Probabilmente le migliori intuizioni lisergiche californiane, in una presa di distanza dai personaggi hollywoodiani, furono loro dall’inizio alla fine.
Non ci sono eredi in questa tradizione folle, solo i Phish di Trey Anastasio hanno osato spingersi così tanto, con esiti degni a dire la verità. L’inarrivabile follia Hip, mantenuta al di sopra dei suoi aspetti più deteriori, questo poteva promettere, ed infatti questa è una delle pochissime formazioni esemplari. Il suono luccica nell’aria del palco, necessariamente: grosso modo da Workingman’s Dead le registrazioni di studio non sono sufficienti a contenere le qualità specialissime che fanno di questo gruppo uno dei pochi veramente memorabili di quella stagione.