Non è una coincidenza che tutti i settori tentino di strutturarsi nel modo in cui si è organizzata l’industria dell’intrattenimento. Le industrie culturali – fra le quali quella discografica, il mercato dell’arte, la televisione e la radio – mercificano, confezionano e commerciano esperienze, non prodotti materiali o servizi; loro scopo principale è vendere un accesso temporaneo a mondi simulati e a stati emotivi alterati. Per tale ragione rappresentano un modello organizzativo ideale per una economia globale che sta effettuando una transizione dalla mercificazione di beni e servizi alla mercificazione dell’esperienza culturale.
Jeremy Rifkin The age of access 2000
Compito dell’architettura moderna è progettare ambienti e spazi, costruire luoghi e dimensioni, in cui il committente, il visitatore, il passante desiderino entrare. Ogni volta che si immagina l’architettura come riduzione di standard più elevati già noti, le si toglie la sua funzione, qualche volta definitivamente. Ovvio che si deve continuare a costruire, non fosse che per necessità pratiche, ma se a Shang’Hai la decisione politica è “sostituire” ci sono mille altre Venezia in cui l’ipotesi è invece vendere l’esperienza culturale passata, sperimentata, “migliore”.
Suoni e Abitazioni
Contesti e Pretesti
Ascolto Immaginario
L’Architettura Risuonante
Il Potere del Suono
Progettare il silenzio
Corrispondenze Simpatiche
La fine dell’architettura, ma almeno il suo svilimento, la sua totale banalizzazione sta in questa valorizzazione del passato, dell’inattuale, dello storico come “migliore”. La questione non riguarda solo gli studiosi, ma ognuno di noi. Se la nostra esperienza culturale individuale viene considerata inferiore a quella di un altro, specie a quella di un morto, tutto il nostro senso dell’esistere è seriamente minacciato. La natura effimera dell’architettura viene negata dalla qualità tecnica dell’architettura stessa, i materiali che sopravvivono sono migliori di quelli che transitano, ma la qualità di uno spazio è affermata dalla qualità della vita dei suoi abitanti.
Da alcuni mesi sono incatenato a questa scatoletta di plastica nera. Oggi, dopo lunghe (a volte estenuanti) peregrinazioni trovo questo altro approdo. Grazie per la scrittura limpida, scintillante. Grazie per il rigore e la profondità di pensiero e di intenti. Architettura, arte, musica, riproduzione del suono, spazio-tempo, silenzio. Sono questi, in ordine sparso e confuso, gli argomenti che mi hanno pervaso di più in questo ultimo faticosissimo tempo. Ho letto frettolosamente alcune cose, le ho condivise rapidamente, non le ho comprese appieno. La “costruzione di una cultura” richiede soprattutto tempo (e spazio). Sono arrivato ad On The Corner dopo 25 anni di ascolto di Davis (jazz in generale e musica di tradizione eurocolta. Puoi chiarirmi il riferimento all’ira in apertura di recensione? Sto ultimando uno scritto sul rapporto tra registrazione e post produzione nel jazz appena riesco lo rendo pubblico e Te lo segnalo. Keep in touch.
ho letto con interesse, soprattutto la prima parte,quella dedicata all’architettura, essendo infatti architetto io stessa. Questa affermazione non toglie che chiunque sia, anzi debba essere interessato allo spazio in cui si trova a vivere,ad abitare e separo le due cose, perchè li considero ambiti in cui ri-trarsi in modo diverso, almeno lo ritengo possibile.
Ciò che mi ha affascinato nella lettura che hai proposto è lo scardinare la materia, perchè questo tratta l’architettura, per “vendersi” come virtualità, alla fine. Tu usi proprio il verbo “VENDERE”. Ora lo riscrivo così:VE(N)DERE, che è l’arcaico cui si aggrappano le costruzioni del passato, ma anche quelle dell’oggi, non pre-sente, poichè trovo i lavori contemporanei passeggeri, legati all’effimero di una tecnologia che offre una immediatezza costruttiva, ma materiali ad elevato degrado ai quali non si pone rimedio attraverso il restauro. Ne consegue che le emozioni si possono vendere solo tempo-ranea-mente, e dunque adeguarsi a costi di mercato così mutevoli, ma anche non adeguati alle necessità che si è inteso inseminare. Il restauro come ricordo nel tempo di un tempo che non c’è più trovo che sia un’assurdità. Ha senso inserire e inseminare di memorie il pre-sente rendendo tali memorie vive per il futuro che, attraverso una serie di oggi, non ha che una sola evoluzione anch’esso: di-venire passato. Se non porterà con sè im-pronte dove si cercheranno le or-me(?) su cui muovere i passi. Tutto ciò che è, vive ora, è frutto del seme di ieri, niente è fuori da questo vincolo. Memoria da memoria, intesa come st(r)ati di e-motività, necessità di materia prima che di materi-ali. Grazie, ferni