Il silenzio possiede una dimensione celeste, in sè. Per ottenerlo, sotto una soglia decente, sono spesso necessari grandi dispositivi architettonici, che siano in grado di stemperare il rumore di fondo, attraverso una rete di riverberatori, deflettori di riflessione, pannelli atti a spezzare i transienti. Il miracolo delle cattedrali europee, tra le altre cose, è una serie portentosa di esempi spaziali di questo genere.
Nel silenzio, nuove dimensioni appaiono come avvertibili, forse soltanto intuibili, coi mezzi di una mente ineducata ma comunque: la mutazione dell’equilibrio degli organi interni del corpo umano, il rilassamento delle strutture spinali, dei muscoli del collo e delle ossa del bacino, oltre che quelle del cranio, portano l’intero essere a percepire più o meno consciamente l’esistenza di altre dimensioni.
Il silenzio, ammessa la possibilità di una simile condizione acustica, contiene il più profondo dei poteri di inquietare gli umani. La soglia del silenzio è diversa per ciascuno, sia fisiologicamente che emotivamente, ed il rumore della città alle cinque della mattina, che per molti sarebbe un grave disturbo al sonno, per altri siede in un silenzio snervante, privo del gracidare del traffico in strada o del moto inconsulto dei motori dell’aria condizionata, degli ascensori, dei generatori elettrici.
Il silenzio è, in apparenza, assenza di suono, vuoto, mancanza. Viceversa il silenzio, potenzialmente, è suono inespresso, densità, ricchezza non misurabile di incipit musicali inaudibili ed inauditi. Ovvio che la sua presenza inquieti, che la sua immensa capacità gravitazionale crei galassie e vortici di attenzione. Il silenzio è il grado zero della nostra condizione psicotica, quello a cui tendere, oltre che quello da cui veniamo.
Così, il suono organizzato ad arte assume nuove connotazioni, si procura accessi alla profondità della natura umana che sono finalmente capaci di toccare corde nascoste, di innescare processi davvero nuovi nella consapevolezza. C’è sempre spazio per una inquietudine indotta, ma essa non ha più niente di naturale, nè di sano: è una inquietudine che origina dalla nostra falsa percezione del mondo e dell’ambiente, oltre che di noi stessi, qualcosa che nutriamo contro i nostri autentici bisogni, un rumore interiore che va guardato in faccia. Proprio così, il silenzio del mondo ci porta a misurarci con quello che è il nostro mondo interiore, che va ripulito come una stanza, ordinato e condotto alle nostre vere necessità.
In questo nuovo spazio, sul quale lavoriamo incessantemente, una nuova musica appare, anzi, una musica antichissima. Una musica ancestrale di cui la nostra mente limbica, il nostro assetto liminale, ha un ricordo perfetto. Ed è un suono che da un nuovo significato alla parola primitivo, equo, necessario. Ogni considerazione etica, ma pure ogni impulso politico devono muovere da una tale purezza di percezione, esiste perciò una educazione al suono che deve essere parte dell’apprendistato umano. Perfino quando gli umani non ne siano così sinceramente desiderosi questa educazione è disponibile ed attiva, la musica è la migliore amica che abbiamo, mai distante da noi, mai vietata, mai distratta, a differenza di noi stessi.
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