Emergeva senza sforzo, questo Tricky colossale, in quel 1995 ambientale in cui l’aria era colma di tessiture forti e colorate. Ritmi tripHop forse, e voci profondamente rhythm&blues, rendevano questo disco un tornado pop, avvinghiato alle migliori classifiche, preparato ad ognuno dei millenni a venire. E suggeriva pure la forma delle cose dietro l’angolo, con una genialità eccentrica, occultamente sbilenca: perfetta, insomma.
Emancipato da quel Massive Attack inequivocabile nella sua solidità e fermezza, questo giovinotto mondano distribuiva campiture buie e vagamente stranite sopra alle desolazione urbane più promettenti, le quali lo assunsero a modello per un bel po’, almeno fino a quando la potente rete londinese, nera e luccicante, la fece da padrone anche nelle sale più grandi e lussuose, nei club più ben frequentati dai nuovi giovani urbani e professionali.
Ascoltare tutto questo insieme selvaggio, rieditato con estensioni nel 2009 fece un effetto curioso. Pareva di possedere di colpo la chiave di lettura di molti dei movimenti che ci riguardavano anche allora ma che erano molto meno che evidenti e tracciabili. Il lavoro coscienzioso e lucido compiuto da innumerevoli giovani DJ, partendo anche da questa raccolta di perle, ha conservato, mutandolo, uno spirito radicale anzichenò. Permea molti dei nuovi generi, il rauco sussurro di Tricky.
Tamburi sempre scurissimi e vani, presenti tra gli altri strumenti come a riempirne la pasta, manipolazioni elettroniche profonde e devastanti di qualunque set potesse considerarsi familiare: questo è il tratto del tripHop originale, così lontano dalle altre formulazioni dancefloor da parerne una mutazione folle, un tratteggio derivato dalla macchinazione quotidiana compiuta come una necessità. Musica in cui affondare i denti.