L’affermazione di opportunità di una musica profondamente immersa nel contemporaneo, nell’ambiente psichico e informativo del tempo, è indiscutibile. Tale musica, spesso, non ha quasi niente a che vedere con le categorie del marketing, con la pianificazione demoscopica, infine con il gusto del pubblico. Una percezione snaturata del suono del proprio tempo pare infatti essere la caratteristica della cultura di massa, troppo facilmente preda di qualunque manipolazione merceologica.
Pure: abbiamo a disposizione un importante archivio di registrazioni, per definizione architettate per estendere l’esistenza estemporanea di eventi sonori. Queste registrazioni, per quanto spesso difficilmente rintracciabili, rimangono documenti rilevantissimi che possono essere supporto probante per una tesi avventata come quella che in questo spazio sostengo: La musica ed i musicisti che lavorano al passo perfetto con il loro tempo, mentre intanto respirano l’aria multiversale necessaria per la comprensione, esistono.
Probabilmente questi musicisti non hanno un contratto multinazionale, non sono protetti da squali legali, da sistemi di distribuzione totalitari e totalizzanti, vengono facilmente scancellati dai manuali e dai convegni, ma arrivano sul mio tavolo comunque, così come, spero, sul vostro.
Franco Fabbri potrebbe essere ricordato fuori dalle sedi accademiche anche se non fosse attivissimo nel tenere in vita concezioni fluide ed intelligenti della musica popolare contemporanea. Potrebbe essere ricordato come commentatore e persuasore pubblico della necessità di estendere la nozione di musica popolare entro e oltre la più fine delle musiche colte, anche se non fosse stato guida e mentore di ascolti radiofonici tanto notturni quanto radiosi. Ma dovrebbe essere riconosciuto soprattutto come esecutore, compositore e pure cantante davvero valente, come esempio lampante di innovazione musicale leggera, agile e connessa con il più realista degli ambienti sociali.
L’esempio che scelgo per rappresentarlo al meglio è quanto meno insolito: ovvia la sua posizione determinante alla guida degli Stormy Six, formazione indimenticata per la sua duttilità e onnipresenza sui palchi più nascosti della penisola e oltre fino a tutti gli anni ottanta. Qui invece decide di misurarsi con la propria intelligenza interna, permettendo alle sua chitarra di evolvere in una dimensione macchinistica e sorprendentemente elettronica. Io queste composizioni estemporanee leggere e disperse, avventurose ed inafferrabili le considero utili, importanti, necessarie.