Ovvio che un compositore Jazz sia una specie di ossimoro. Naturale che una teoria del Jazz possa solo far sorridere. Tranne quando un trombettista desideri un modo nuovo di stabilire una relazione con gli accordi che non sia il semplice modo di arpeggiarli, che non sia una relazione tonale condivisa con qualunque ortodossia accademica. Allora la necessità autenticamente sentita va analizzata, osservata e compresa in modo semplicemente teorico, unendo alla vitalità una certa dose di consapevolezza.
Ovvio che attribuiamo tutti i meriti a John Coltrane, pure quando sappiamo che egli stesso deve molto alla lucidità di Miles Davis, alla lungimiranza di Gil Evans, alla immaginazione attenta e spaventosamente geniale di Bill Evans. Ovvio che sappiamo tutti quanto il contributo “europeo”, ed in particolare modo scandinavo, alla progressione di una musica nera e selvaggiamente appropriata abbia generato una dimensione accademica priva di futili rigidità, carica di promesse e bellezze.
Molto meno ovvio, e anche meno noto, che la teoria fondamentale sia stata definita, elaborata ed estesa da
George Russell, autore di quel “Concetto cromatico Lidio dell’organizzazione tonale” a cui costantemente ci si riferisce quando si desideri emanciparsi dalla greve tradizione armonica tedesca, quando si immagini un universo musicale mobile e leggero fondato su scale intelligenti e diagonali tese sulla relazione stessa fra accordi e scale: sull’intera tradizione europea, cioè (Debussy escluso, naturally).
Russell stette sempre alla guida del suo gruppo, passando soltanto dal ruolo di batterista (quando Max Roach prese il suo posto nei Collegeans stabilì che la sua missione non era quella) a quello di pianista, spesso molto parco di note. Alle sue sessioni partecipò il meglio della scena, da Bill Evans allo stesso Coltrane, Max Roach fino a Paul Bley e Steve Swallow, fin quando Russell, in tour in Scandinavia, decise di trasferirsi laggiù. Qui assistette la nascita di una importante tradizione destinata a lasciare il segno.
La teoria di Russell si propone il concetto del suonare basandosi sulle scale, su una serie di scale (modi) piuttosto che su accordi o armonie:
La scala maggiore è probabilmente emersa come la scala predominante nella musica occidentale, perchè all’interno dei suoi sette toni giace la progressione armonica più fondamentale dell’era classica. La scala maggiore si risolve sul suo accordo di tonica maggiore. La scala Lydia è il suono del suo accordo di tonica maggiore.
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