La musica elettronica dei primordi, quella in cui vennero stabiliti modi e sonorità radicali, è europea. La tecnologia è europea, le maniere e le motivazioni hanno una carattere europeo profondo, anche in una sorta di neoclassicità disincantata, in un sentimento tanto decadente quanto fermo e potente, tanto privo di vanagloria quanto ricco di profondità e concentrazione. Tanto più privati di un passato glorioso però, i compositori assumono una spregiudicatezza finale, così poco europea.
452 altoparlanti furono utilizzati per la diffusione di Concret PH, la composizione di Iannis Xenakis che fece da intermezzo al Poéme Electronique di Edgar Varese, alla fiera di Bruxelles nel 1956, all’interno del padiglione Philips affidato a Le corbusier. Due milioni di persone poterono, durante quell’evento, essere esposte ad un suono elettronico nuovissimo, importante, e certamente molto bello. Lo stesso Xenakis disegnò il padiglione, su incarico di Le Corbusier stesso.
Nel frattempo, e già dal 1951, John Cage aveva invaso lo studio di Louis e Bebe Barron, compositori di colonne sonore per il cinema, in cerca di un modo per usare il nastro magnetico come strumento di composizione. Insieme lavorarono così alla costruzione di una importante libreria di suoni registrati, che portarono nel loft di Cage sulla lower east side per tagliare i nastri in piccoli pezzi che provvidero a rimontare, fino a dar origine al Williams Mix, insieme a Earle Brown. Tipicamente, Cage si disincantò in fretta riguardo il nuovo metodo di lavoro.
Il principale studio di musica elettronica americano, alla Columbia University, venne impiantato da Vladimir Ussachevsky e Otto Luening, responsabili, nel 1952, del primo concerto per musica su nastro al MoMA. Il loro successo personale fornì i mezzi necessari per la costruzione di uno studio che grazie all’associazione con Milton Babbitt, da Princeton, potè acquisire, nel 1959, l’electronic music synthesizer costruito dalla RCA ed ospitare una marea di compositori, che vennero a lavorare lì da 11 paesi diversi.
Tra il pubblico, al concerto al MoMA, c’era anche Luciano Berio, il quale appena tornato a Milano, qualche mese dopo, in associazione con Bruno Maderna riuscì a costituire, nel 1955, uno studio di fonologia grazie alla RAI che li ospitò nei suoi locali di corso Sempione. Qui l’omaggio a Joyce prese forma: Cathy Berberian recitò il capitolo 11 dell’Ulisse, la sua voce venne processata elettronicamente, i nastri manipolati, dando luogo ad una sensazionale dimensione sonora in cui le parole acquistano significati che alludono ad altre parole, incantevolmente.
Anche Henri Pousseur lavorò al suo Scambi, nel 1957, filtrando semplice rumore bianco, negli stessi studi. Lo stesso John Cage, che era interessato alle combinazioni aleatorie derivate dal taglio dei nastri secondo metri casuali, realizzò una versione di Fontana Mix, composizione precedente, nel 1958. Forse è importante rimarcare quanto negletto sia stato il corso della storia di questo studio, che ospitò i massimi compositori dell’epoca per la straordinaria dotazione tecnica ma anche per il notevolissimo staff creativo.