E’ davvero singolare osservare, nella luce brumosa di questo nuovo secolo, la storia della musica italiana del dopoguerra. Non che manchino affatto poderosi appigli e formidabili contesti, appare soltanto evidente come gli artisti più importanti e capaci di produrre buona musica siano stati scancellati dalla storia nazionale. Se mi riferisco a Luciano Berio e Luigi Nono, gli artisti più vicini alla storia che sto raccontando ma anche al mio sentimento personale, trovare documenti in italiano è davvero difficile. Nella ricerca scopro, dolorosamente, che è probabile che questa rimozione quasi integrale non riguardi affatto solo l’ambito, oggettivamente difficile e controverso della musica elettronica contemporanea.

Viceversa, in una dimensione più praticabile e sensata nei nostri giorni, osservando una storia globale e perciò priva di enfasi nazionalistiche, è facile identificare questi due grandi studiosi e musicisti come figure imprescindibili. Se per esempio li consideriamo in relazione ad altre figure che hanno una forse ancora maggiore e indiscussa rilevanza internazionale come Umberto Eco e Italo Calvino, scopriamo allo stesso modo che gli atti dei convegni, tesi e dimostrazioni che li riguardano sono di gran lunga estranei alla cultura italiana in sè, che il contributo intellettuale alla definizione di un’epoca non riesce, non può, e forse non necessariamente deve, avere un qualunque carattere nazionale. Staccare lo sguardo da una storia nazionale in sè diventa forse obbligatorio, anche nel momento in cui la si scrive in una lingua nazionale, speciale e del tutto idiosincratica.

Affrontare una materia così sofisticata, gravida di risonanze estese in un epoca moderna tanto sfuggente quanto apparentemente rappresentata, e misurarsi quindi con una percezione popolare della storia, delle ideologie e delle immagini reali, diventa azione eroica. Lavorare su qualunque dimensione impopolare, che è per definizione un termine indifferente ai ricercatori in buona fede, sembra essere riservato a qualche piccola squadriglia di avventurosi sprezzanti il pericolo: di essere isolati, eccentrici, magari integralisti. Viceversa la convenzione obbligatoria, di stile e di gusto, rende pressocchè impossibile guardare con occhi puliti a ciò che di fronte a noi sta realmente accadendo. Rappresentare le cose come le vediamo, in serenità e più oggettivamente possibile, è l’esempio che questi grandi compositori (e letterati) ci han dato e continuano a darci.

La musica elettronica, rumoristica, discordante e perfino stridente, emersa dai centri di fonologia in cui tecnologie traballanti servivano alla definizione di un mondo distrutto che faticosamente tentava di darsi nuovamente una ragione, è una soluzione quasi obbligatoria. Dico quasi perchè ambedue questi due potenti compositori mai hanno escluso tecnologie diverse, tornando a volte, e probabilmente volentieri, a forme compositive ancora possibili: il normale quartetto d’archi così come i cori e perfino le piccole orchestre, i solisti virtuosi e così via. La musica elettronica, anche nelle sue forme più primitive e (oggi) francamente quasi insopportabili, ha ridato forma ad un mondo frantumato, avvilito, che rimane il sostrato intero dei nostri attuali giorni.

Ambedue i compositori, Berio e Nono, sono state considerate autorità competenti non soltanto nei cerchi ristretti dell’accademia internazionale, ma di sicuro pure in quelle dimensioni più estese ai tempi loro, ed oggi certamente molto più neglette e disprezzate, che sono quelle della cultura ideologica, della economia politica, dell’etica civile. Curiosamente la carriera di Nono è stata sostenuta fin dall’inizio in una Germania poggiata su equilibri politici delicatissimi come quella degli anni cinquanta: va ricordato che la prima rappresentazione di un lavoro di Nono in Italia, al teatro La Fenice di Venezia, risale solo al 1961. Quella di Berio, essa pure fin dall’inizio, è stata compresa, supportata e apprezzata in un paese in superficie del tutto ostile a quelle istanze radicali, profonde ed importanti che il suo lavoro esemplificava: gli stati uniti d’America.

A differenza di Eco e Calvino però, che sono ugualmente amatissimi ed adoperati come riferimenti in questi e molti altri paesi, Berio e Nono sono piuttosto scarsamente citati nel debole discorso, anche accademico, italiano. Forse davvero troppo sfuggente il loro ambiente sonoro, forse l’impegno di ascolto competente richiesto è davvero eccessivo in un paese legato al belcanto oleografico ed alle leggerezze anacronistiche, io non ho modo di saperlo. Di certo so che la lettura delle dimensioni anche quotidiane, la visione ancora prima della comprensione delle condizioni in cui ci troviamo a vivere adesso, esige modi di rappresentazione, di ricostruzione e di interpretazione che la musica ha definito perfettamente, grazie soprattutto a questi ed altri compositori di cui sappiamo troppo poco.

music: biosphere, Tromsø, Norway