Quanto questa mia vacanza nel suono più classico possibile mi permetta di godere è difficile da dire. Classico è quel suono sul quale si poggia, lievemente, il massimo del consenso, quello su cui siamo tutti d’accordo, quello che non occorre discutere, nè valutare. Questo disco avrebbe potuto uscire in uno qualunque degli anni successivi a Kind of Blue, ne è ideale prosecuzione e completamento, per ricordarci se ce ne fosse bisogno che ci sono questioni in musica che hanno valore anche senza ostinarsi a pensare nel tempo, in una deliziosa extramodernità.

Sostanzialmente ci sono sempre stati ambienti accademici totalmente illuminati: l’innovazione non è tutto, questo esempio scintillante viene da una dimensione plausibilmente perpetuabile. Scopo della musica è calmare la mente, disporla al sentimento interiore più puro. L’ascolto della musica, sempre misterioso e spesso straniante, ci porta in una dimensione in cui la mente funziona per quello che è: l’interfaccia fra la realtà ed il mondo, il diaframma che integra il tempo con quel che nel tempo non è, il vestibolo che ci introduce dallo spazio a quel che spazio non è più.

Due maestri mica da poco questi qui, del rappresentare l’immemorabile in forma pratica e quotidiana. L’incessante omaggio ai maestri diventa gioiosa celebrazione, del fasto come della nostalgia, e dottissima citazione, senza alcun gusto per il rimpianto o la recriminazione. Il trucco sta tutto nella portentosa ariosità del tocco, nella leggerezza del fiato potentissimo, sta tutto in quel gusto per il dialogo che si compie in lingue istoriate, cariche di densità etimologiche quanto di serena fluidità. Lingue che mai suggeriscono una decadenza, queste, pure se vengono da una dimensione impraticabile per i più.

Giovane l’incantevole timbro di Fresu, un esempio anche per la sua generazione nazionale, una ricchezza per il corrente discorso fra le nazioni del mondo. Antichissimo, un vero pilastro della nostra malsicura certezza Towner, decano di un modo di sentire la composizione che non appartiene che alla nazione dell’impegno e della necessità. Ma è la coppia ad essere mirabilissima, tanto che ci inchiniamo anche alle più forzate alchimie del nume Manfred Eicher, quando come in questo caso mira tanto alla apologia dei bei tempi andati quanto alla affermazione della sana e solida esistenza eterna di un ventesimo secolo che non tornerà mai più.