Potrebbe essere ingannevole il termine antiromantico per descrivere quest’impresa, perchè questa tempera aliena da qualunque orizzonte dogmatico, questa coincidenza intensamente spirituale e materiale insieme di tinte organizzate in musica, questi paesaggi sfuggenti veduti come da una nave che costeggia continenti ignoti, terre incognite e promettenti si scambia facilmente per romanticheria. C’è talmente tanto di una obliqua imaginérie romantica che non possiamo che applicare il principio di inversione ed utilizzare una definizione paradossalmente opposta. Perchè Brian Eno non è affatto un romantico.

Viceversa è un impressionismo clinico, il suo, un puntillismo spontaneo e pure precisissimo, come di un fauve ricostruito con un pennello finissimo, come un Ron Kitaj cifrato. Ed è Lunare quanto Mercuriale la sua attitudine, in cerca di una angolazione speciale, che trema sotto il carico di informazioni dense e tese. Nessun eccesso di razionalità, per carità, Brian Eno non è un intellettuale vano ed ozioso, non c’è nessun tentativo di ridurre la visuale al maneggiabile, di strumentalizzare l’intuizione, piuttosto la tecnica è applicata alla rappresentazione fedele dell’indicibile.

La luce che rende quindi percepibili queste composizioni, ordinate insieme ai generosi e valenti compagni, Jon Hopkins e Leo Abrahams, é una luce innovativa e sorprendente, proprio com’è sempre stato lecito attendersi da quest’uomo maturo e sorridente. In questa luce variabile ed eterea prendono forma solo gli sfondi, badate bene, luoghi da abitare con impegno e solidarietà, perchè mai arbitrari, pure se mai impossibili da popolare. Le ritmiche angolari e taglienti, che sono un importante squarcio sullo stato “attuale” delle cose, indicano con chiarezza la natura di queste inesplorate regioni. Ne traiamo indicazioni e direzioni per la costruzione delle nostre abitazioni soniche, per attrezzare i nostri veicoli.

La teoria del viaggio, in questi ambienti multidimensionali, è differente per ciascuno. Potrebbe essere responsabile l’ascoltatore dell’incapacità di muovere il primo passo, quello che richiede la maggiore intelligenza, una connessione con le coordinate territoriali che non sono implicite nelle indicazioni. E’ precisa esigenza del conduttore che ogni passeggero assuma le sue proprie responsabilità, ma non si mortifichi troppo colui che si addormenta di fronte al banchetto, così come colui che venutosi a trovare in una crociera familiare si trovi improvvisamente su pianeti non allineati.

Sono abbastanza vecchio da aver atteso l’uscita di ogni album di Brian Eno. Abbastanza attento da sapere come ciascuno di essi sia stato accolto con freddezza e con una certa diffidenza, salvo poi assurgere a status di riferimento per decine (centinaia) di musicisti, di produttori, di tecnici e altri ascoltatori qualificati. Perchè Brian Eno non pubblica nuovi lavori: inaugura nuovi generi. Nella storia della discografia ci sono esempi di questo tipo: Il primo disco dei Beatles, o quello dei Velvet Underground con Nico, così come Bitches Brew di Miles Davis o Are you Experienced? di Jimi Hendrix e molti altri meno conosciuti ma altrettanto inspirazionali per le orecchie più attente.

A parte Stravinskji e Davis, invece, è quasi impossibile reinventarsi credibilmente all’interno di un nuovo genere. Non solo perchè la percezione pubblica deve essere assecondata in modo lento e molto incrementale, ma anche perchè non c’è fatica maggiore, e più grande straniamento personale, della mutazione del linguaggio, del fraseggio o perfino del vocabolario. Abbandonare uno stile mantenendo credibilità e forza è avventura riservata a pochi. Ci misuriamo con personalità molto solide, quando questo accade, non con un genio ma con molti, che decidono di abitare lo stesso individuo mentre questo abbandona territori e postazioni. Mentre si attraversano regioni nuove ed insidiose, occorre mutare l’intera intelligenza locale.