C’è una frustrazione sottile nel comporre colonne sonore per il cinema. Non è una novità: tutto il cinema è stato riduzione di testi e sentimenti di respiro ben più largo, alla ricerca di un contatto con il pubblico che spesso è stato raggiunto, al prezzo non ridotto di una semplificazione eccessiva. Il cinema, naturalmente, offre possibilità colossali ai suoi spettatori, essendo sempre immaginalmente potentissimo, ma di frequente le composizioni musicali che erano intese per lo sfondo sono ancora più memorabili del film stesso. Di certo ciascun compositore importante ha portato in dote elementi esterni all’esperienza cinematografica in senso stretto. Intanto questo di Teardo è un esempio di volontà e capacità progressiva del tutto fuori dal comune.

Una certa aura marginale questi lavori ce l’hanno, così fermamente anti hollywoodiani, ma nulla si vuole togliere al respiro fresco e potente quanto intimo e riservato. Sono piccoli suoni che derogano all’enfasi eccessiva dello spettacolo a tutti i costi, perfettamente risonanti su frequenze autentiche quanto insolite. Sono suoni capaci anche di descrivere il nostro paese, il nostro sentimento di lontananza. Suoni lontani dal romanticismo sterile e sovrabbondante che l’immagine italiana ha nel mondo, eppure ben piantati, pure se in un paese in fondo irriconoscibile. Credo che la compagnia internazionale che il nostro ama di più sia ben consapevole della natura culturalmente solidissima di queste strutture accuratamente cesellate.

Sono i tempi e i modi, alla fine, quelli che fanno del giovane Teho un caso completamente singolare, lontanissimo com’è da qualunque influenza banale sia nel campo abbastanza ristretto delle colonne sonore che in quello più ampio, ma certamente non troppo, della musica italiana che si svolge nel nostro tempo, davanti ai nostri occhi. Emancipato dalle sonorità industriali più oscure, così come da quelle pseudo colte che intridono qualunque tentativo di investigare lo stato delle cose attuali, certamente vicino ai registi più attenti e preparati del nostro risorgimento cinematografico, Teho Teardo si merita tutto il sommesso plauso degli addetti ai lavori (oltre che di un relativamente piccolo pubblico di connoisseurs).

Non è della tradizione che si occupa costui, pure se mai la dimentica al punto di sembrare davvero finissimo e coltivato per bene. Viene invece da avventure più estreme il suo poco calcolato passo, viene dal gusto per una grammatica spezzata che pure mai trascende troppo, qui,  il senso di una narrazione fluida e godibilissima. Ora, non c’è passo che un racconto in tempo reale davvero utile possa azzardare lontano dal gusto del suo pubblico, non c’è un solo angolo oscuro in cui il pubblico pagante sia disposto a seguire, eppure qui le tracce sono suadenti, ipnagogiche e magistralmente efficaci, e forse i registi stessi sono incoraggiati, in questo modo, ad andare un po’ più lontano, senza troppa prudenza.

 

Erik Friedlander and Teho Teardo

Image by federico_piccin via Flickr