Il nuovo paese industriale che era la Germania del dopoguerra, oltre a grandi ricchezze, finì per trovarsi di fronte ad una generazione in rivolta, come in altre parti d’Europa del resto, ma questa più radicale ed intransigente. Un suono inedito, che intese rappresentare un forte dissenso al diktat, prese a mescolare, per la prima volta nel vocabolario popolare, allusioni robotiche e suggestioni mistiche.
Allievi discoli di Stockhausen e Salvador Dalì, esonerati dalla certificazione e dalla seriosità accademica, raccolsero alcune istanze hippy e si abbandonarono, teutonicamente, alla furia degli elementi, raccogliendo segnali da un universo urlante. In una sorta di Sturm und Drang tecnologica attraversarono a cavallo la galassia.
Sommerso in breve da orribili copie che, prive della necessaria intelligenza ironica mancarono del tutto di affascinare, sembrò all’epoca quasi un fallimento. Nondimeno nulla, in questo ecosistema onnivoro che è la musica vera, va sprecato e molte forme di vita emersero in anni anche lontani, da queste impronte genetiche.
La luminosa grazia di quest’opera in particolare va ricordata in ogni percorso di illuminazione degli archivi. Qui venne stabilizzato l’orientamento “cosmico” e onirico che Froese, Baumann e Franke avevano intentato insieme a Klaus Shultze, a prosecuzione del lavoro dei Floyd e prima del salto internazionale Virgin. La sfolgorante bellezza di queste strutture cristalline, più tardi, sarà più difficile da intravedere.