La scoperta delle gioie del paesaggio sonoro, e della sua rappresentazione in studio, dovuta forse più alla pubblicazione di Apollo che a quella di On Land, diede origine ad una generazione intera di sperimentatori, che evidentemente si misero all’opera in termini speleologici molto più che estensivi.

L’intera opera di Alio Die è piuttosto buia e claustrofobica anzichenò. I suoi luoghi immaginari, mercuriali e sibillini, suggeriscono una qualche ossessione per la notte, per il non dicibile e l’orrido. In questo senso una direzione ferma viene presa: la sospensione di ogni particolare sentimento, che Brian Eno ha esemplificato, lascia il posto ad un naturalismo quasi ottocentesco.

Questo autore prolifico e raffinato ha trovato modelli di composizione rilevanti ed incrementali. Senza cadere mai nel calligrafismo all’americana è stato capace di organizzare un corpus organico ed utilissimo, mai vago nè impreciso. Le formidabili connessioni con Robert Rich e Vidna Obmana sono testimonianze globali della realtà di questa musica.

In qualche modo, infatti, queste composizioni sono l’opposto dell’isolazionismo di Lull o di Lustmord. In una tempesta sonora quasi metereologica, comunque organica e connettiva, si tiene conto della rete organizzata che negli anni novanta ha preso forma e colore. Ogni paesaggio quantico consapevole ne viene coinvolto, ad affermare l’autorevolezza dell’autore.