Credo si possa considerare completamente inaspettata una esecuzione così gradevole di una composizione del più feroce tra i nostri contemporanei. Di certo, un importante contributo alla comprensione del panorama di Karlheinz Stockhausen, che se non ha contemplato apertamente la gioia ed il divertimento, di certo non li ha mai negati. Forse si tratta solo di un altro miracolo di Paul Hiller.
In atto qui c’è la prodigiosa celebrazione di un compositore importantissimo. Magari le drammatizzazioni eccessive di cui si è tinta tutta la sua opera, peraltro ben comprensibili, lo hanno reso ostico e alieno, ma ci sono naturalmente molti altri aspetti poco sviluppati dagli esecutori. Primo: il gusto inesaurito per l’esistenza che il compositore di Gesang der Jünglinge ha sempre avuto, secondo: la vitalità che tutte le sue composizioni includono, e che gli esecutori possono o meno intuire.
Insomma finalmente un programma che io mi senta di indicare a chiunque porta tale e tanta firma. Non si tratta di un manifesto ideologico risuonante e perentorio soltanto, qui la vocalità magistrale esprime una adesione quasi sanguigna, emotiva e fisica ad affermazioni che nella storia del dopoguerra europeo hanno poche pietre di paragone. Il completamento che l’opera del maestro ha raggiunto negli ultimi anni della sua vita qui splende e rischiara.
Hiller, d’altra parte, non è certo nuovo a responsabilità e modi importanti. Autore di studi completi ed autorevoli su Arvo Part e Steve Reich, è stato fondatore dell’Hilliard Ensemble e successivamente del Theatre of Voices, formazione che possiede sufficiente competenza e disinvoltura per passare da Perotin a Berio a questo lavoro sorprendente, cui il compositore affidò molte delle sue convinzioni sull’uso della voce umana.
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