Ho una sola preoccupazione quando affronto un disco, una nuova opera, un autore: verificare la sua autenticità. I parametri non sono moltissimi: c’è una risonanza diversa ai diversi livelli cui un lavoro di una certa intensità si volge. Le vaghe stille umorali che le chitarre acustiche intrecciandosi generano in me sono quasi sempre un dato certo, negli interstizi tra i miei pregiudizi di vecchio lupo fiero quanto malconcio si trova la sostanza che il metallo delle corde fa vibrare. L’appoggio del plettro, fermo e risolutore, si insinua tra l’incudine ed il martello generando pura e semplice elettricità, vitale ed eterna, suggestiva quanto energizzante.
L’accordo segreto fra il basso pulsante ed il tamburo a pedale è decisivo: ogni eroe è sostenuto da una apposita sezione ritmica, solo all’apparenza subordinata, in secondo piano solo in termini di ingannevole prospettiva. Nessun cantore si regge da solo a lungo senza autenticità: ma se la canzone è autentica, improvvisamente gli uccelli gli si raccolgono intorno, intonati e a tempo, non passerà molto tempo senza che un nobilissimo cavaliere si metta a servizio dell’impulso dato, della direzione affermativa espressa compiutamente. Così nascono le E street band, perchè c’è un boss e questo boss è per tutti riconoscibile.
Non sfuggì al vecchio Hammond questo giovinotto magro e convinto che si presentò da lui con una chitarrina, ed in questa forma venne assoldato, convinto della sufficienza dell’insieme. Chi poteva sospettare una tale schiatta di paladini si sarebbe lanciata al suo sostegno, chi di noi ha visto abbastanza presto come la forma delle cose a venire prendeva sostanza, corpo, volume e portanza? Springsteen è con noi da quasi quarant’anni, ad ogni lavoro più maturo e consapevole eppure sempre puro e semplice come un esordiente, la fermezza dei suoi modi da operaio specializzato che risponde di tutta la squadra è la stessa che ci ha così colpito nel 1975.
Ai nostri figli lo indichiamo, campione di una dirittura morale inossidabile, sopravvissuta alla mediocrità ipocondriaca e tossicomane degli anni settanta, a reagan ed alla sua infernale genìa guerrafondaia, a manager disgraziati e a mogli distratte, sopravvissuto soprattutto ad un successo planetario, alla inevitabile corruzione demotivante che ne consegue. Sopravvissuto alle nostre attese sempre eccessive ed illegali, forte soltanto della sua squadra di metalmeccanici d’acciaio, famiglia apostolica della chiesa di Asbury Park. Forte di quella imprescindibile, difficile da mantenere e così improbabile autenticità che lo ha portato fino a qui, di fronte alla distruzione del suo paese.
Nella mia incessante, periodica azione cognitiva, tra polverosi scaffali quanto tra i meandri della rete, ne incontro di promesse mancate. Di quelle mi occupo maggiormente, di invisibili e forse irrilevanti figure angeliche precipitate nel caos del nostro mondo. In questi giorni, in questa mia azione intrepida dell’affrontare le leggende del nostro tempo, queste personalità immense che sono i formidabile strumenti della nostra culturale popolare, non sono a disagio, però: Springsteen, come Bono, come Dylan stesso, sono la dimostrazione che per quanto siano davvero molte le qualità che si chiedono ad una star, il riconoscimento su scala planetaria non è limitato ai faccendieri del marketing.
Nel tempo dell’epica dell’uomo comune, del sentimento popolare nobile e umilissimo, potrebbe non esserci troppa differenza tra questi potentissimi miliardari e i miei preziosi e misconosciuti eroi figli forse di un dio minore. Di certo non distinguo troppo io stesso, mentre sfoglio instancabile archivi e liste di ogni colore e ordine. Piuttosto intendo accertare la presenza, in forma tanto discreta quanto indiscutibile, così spesso, della qualità umana essenziale di cui voglio sfiorare la forma oggi: quella che genera la credibilità, l’autorevolezza, quella solidità di mente e di cuore di cui non dovremmo mai privarci, voglia il cielo continuare a sostenere l’umanità.