Perchè, ci si potrebbe chiedere, talenti così compatti e chiari, capaci di tale e tanta espressività, oltre che di consapevolezza della direzione da prendere, emergono così spesso dalla terra d’Albione? Una rete strutturale di conservazione dei costumi locali, un buon sistema educativo musicale, ottime scuole di economia e management. Tutte cose chiaramente esistenti, almeno nel passato, ma perchè così strettamente inglesi?
Ciò che ci troviamo in mano è veramente, profondamente anglosassone. Nello stile, certo, nel contenuto estetico, ma anche in altre forme più sottili, così tipicamente europee, così definitivamente adatte a questi nuovi millenni.
Della disciplina del contatto si occupa Jon Hopkins, oltre che di luminescenze. Del contatto fra l’uncino, sulle ali della farfalle, e stame. Di quello che lega la falena e la fiamma, oltre che del delicatissimo momento in cui le sue dita generazionalmente modificate toccano i tasti delle interfacce di connessione.
Dell’elaborazione di nuove organizzazioni percettive ci si occupa in questo bell’album: senza strafare, senza allargarsi oltre il bon ton, assecondando la tavola delle preferenze dell’ascoltatore medio, quello destinato a decidere rilevanze e priorità.
Lo distinguono una padronanza degli oggetti di riferimento ambientale superiore al normale, una inclinazione verso melodie magari secentesche, ma singolarmente familiari senza mai essere banali. Ci lasciamo portar via, certi che questa eleganza sia autodiffusiva, che le ripercussioni di questo esempio avranno effetto sulla gioventù.
[…] che rende quindi percepibili queste composizioni, ordinate insieme ai generosi e valenti compagni, Jon Hopkins e Leo Abrahams, é una luce innovativa e sorprendente, proprio com’è sempre stato lecito […]