Ah, l’incanto di un’opera così sanguigna, terrestre, eppure aerea, delicata, così definitivamente femminile nel contenere istanze universali. Non c’è tremore qui, nessuna indecisione: un mediterraneo estinto, effluvi di tamerici, ginestra e oleandro accomunano queste melodie, in un continuo profondamente comunitario.
Qualcuno potrebbe cercare un inno europeo in questi solchi, la linfa di una regione del mondo schiacciata da apparenze centrifughe, e invece in fondo unitissima nella delicatezza dei suoi sapori, nella infinita trasparenza delle sue lingue.
Savina Yannatou, con questo meraviglioso e credibilissimo gruppo, procede attraverso il nostro paese da più di un decennio, affinando incessantemente una vocalità immacolata e struggente, riuscendo sempre più efficacemente a bilanciare umori e tonalità che, per quanto relativamente accademiche, aspirano alla liberazione di un canto unico, splendente.
E’ un esempio imprescindibile per la educazione liberale della nostra gioventù, cui molti dei nostri migliori musicisti hanno teso da sempre. Pare, ora, che solo in codesti tempi carichi di polvere e di rovina questo suono luccicante possa emergere. La mia vera vacanza si svolge in questo ascolto, e la mia intera estate può essere di nuovo salvata.