Il peso che sulla forma delle strutture musicali in atto nel nostro tempo hanno le interfacce umane pratiche, tecniche ma anche sentimentali, va considerato accuratamente. Dedicare il proprio tempo all’esercizio di una qualunque tastiera implica un lavoro di adattamento che può essere impossibile, molto duro oppure soltanto difficile.
In questo esercizio sta la disciplina dell’esecutore, ma pure quella del compositore, dell’organizzatore di processo, quindi anche quella del produttore. La praticabilità del processo determina modi manuali, sentimentali, così come intellettuali e perfino ideologici. Molto diverso il senso se i tasti sono quelli dell’oboe o di una stratocaster, se la tastiera è continua oppure alfanumerica.
Tale esercizio è molto sottovalutato dal punto di vista analitico. C’è un’aspirazione all’abolizione di una qualunque interfaccia macchinosa e faticosa, in favore di un trasparente esercizio fantastico applicato alla costruzione della musica, che è al contrario molto diffuso. Sono premiati i progettisti di strumenti semplificati, privi di un corpo di definizione delle nuances ricco e soddisfacente.
L’abrogazione dell’efficienza pratica è un tratto abbastanza continuo solo nel passato dopoguerra, prodotto dell’accento tecnologico e meccanico messo sulla economia della produzione musicale. Tale efficienza è stata considerata auspicabile soprattutto dai teorici della musica meccanica, non solo in accademia, non solo nel pop.