Di aria si occupa Tetsu Inoue, di increspature e vortici, come se si attendesse una cristallizzazione improvvisa dei mutamenti che avverte, come se non riuscisse a credere che tali moti sono invisibili. Certo è che non è facilissimo toccarlo, questo spettrale suono che emerge dalle sue composizioni sparse ed introvabili.

Passato da una prestigiosa collaborazione con le migliori menti dell’estetica ambientale, da Pete Namlook a Bill Laswell a Taylor Dupree, quando si ritrova da solo il suo suono è delicato e sfuggente com’è nella natura del suo elemento favorito. Mai come con lui l’autoindulgenza tipica degli isolazionisti è assente, mai così sopportabile.

In questa radiofonica raccolta si stenta ad individuare la sostanza in cui le vibrazioni sono plasmate. Nella sua progettazione molto tempo è passato a ridefinire i materiali, che vengono adattati al volo, mutati e stirati fino alla alterazione molecolare, in un design stilizzato che mi fa venire in mente Ferran Adrià.

Così fine e così ferma è la competenza in gioco che si comprende come Inoue abbia accettato con piacere ogni collaborazione, consapevole dell’innafferrabilità del suo progetto in sè. Io per parte mia amo perdermi in questa inconsistenza, in questo reticolato vetroso e trasparente, simile ad un macramè di provenienza indecifrabile.