I destini del Pop, per quanto mi riguarda, sono stati sempre in mano agli ingenui. La relazione fra un cantante più o meno consapevole della propria posizione e ciascun componente del suo pubblico è una relazione pericolosa, ad alto contenuto di dipendenza mutua, una relazione dolcissima insomma. Nella dimensione di un piccolo locale, di una distanza minima fra chi si espone e chi ascolta, finchè la quantità di denaro che si sposta è minima, il Pop (la qualità osservata è qui per esempio) è generato direttamente dal cielo.

Questa ragazza possiede una qualità contemporaneamente consueta e nuovissima: la fede. La sua propria disposizione all’esibizione pubblica è autentica, priva di pretese e di attese, i suoi motivi sono ovviamente un’urgenza sintattica. Ovvio che non ci sia tempo da perdere, ovvia l’economia di mezzi preferiti, ovvia l’assoluta necessità, per noi, di ascoltare con cura.

 La facilità è l’opposto della semplicità. Mai così vero come nella musica Pop, ogni tentazione iperproduttiva è così fuori luogo, inopportuna, falsa. Il candore necessario risplende in ogni sorta di idiosincrasia comunicazionale, l’intima indifferenza ad essere “capiti” sola garantisce la possibilità di farlo davvero.

Ogni attitudine diversa dall’amore puro esclude da una reale esistenza Pop. Ciò che non è puro amore è pubblicità e quella la lasciamo ai folletti del marketing, crudeli creature invidiose dei sottilissimi poteri della voce umana, dell’umana abilità a costruire tessiture sonore che rendono libere, e comunicanti, tutte le anime.