E’ un suono ambientato negli outskirts di Tripoli, intorno al 2015, questo di Abrahams, in uno di quei locali che stanno sorgendo in questi giorni ai margini di tutte le inedite, antichissime città del mondo nuovo. Ed è un suono semplice, polverizzato ma consistente, che si fa amare per una speciale dolcezza innocente, e gioiosa.

Della nuova generazione di Enologi, Rachid Taha e Nitin Sawhney soprattutto, si ammira il profumo esotico, così prepotentemente adatto ed erotico. Abrahams sostiene invece una englishness che con una certa meraviglia conforta noialtri spaventati anziani, destinati inevitabilmente a perire in questa intensa e per nulla violenta secessione globale.

La chitarra come sommo strumento popolare torna ad essere rispettata ed amata. Come Brian Eno aveva intuito in tempi differenti: sono ancora i chitarristi quelli più adatti a mantenere la rotta del suono processato, straniato e profumato dai potentissimi trattamenti elettronici che abbiamo a disposizione. Questo giovane qui è particolarmente dotato nel procurarci il senso di una innocenza artistica ed estetica di cui abbiamo sempre più bisogno.

In  una nuova cultura della musica popolare, di quella cioè che intende muovere dal substrato coltissimo e privilegiato maggiormente a contatto col pianeta, il suono delle corde, del particolare tocco che esse impongono e che garantisce una certa purezza d’intento, ci è indispensabile. Questa cultura, flessibile, mobile ed intelligente è in effetti il maggior esempio di impresa sostenibile, in tempi fondamentali per la sopravvivenza di una qualunque razza umana.