“Il mio interesse per la superficie è il tema della mia musica. In questo senso le mie composizioni non sono affatto ‘composizioni’. Si potrebbe paragonarle a una tela temporale. Dipingo questa tela con colori musicali. Ho imparato che quanto più si compone o costruisce, tanto più si impedisce a una temporalità ancora indisturbata di diventare la metafora per il controllo della musica. Entrambi i concetti, tempo e spazio, sono stati impiegati nella musica e nelle arti figurative come in matematica, letteratura, filosofia e scienza. “
La precisione e l’economia, in musica, possiedono un proprio suono. Avendolo acquisito attraverso un processo che è musicale, queste nozioni preziose per l’esistenza umana risuonano in una composizione quanto i sentimenti che danno luogo all’impulso compositivo, inoltre ne formano la struttura e rendono leggibile il flusso. Un compositore si può considerare tale perchè ha il senso di una economia complessa eppure efficace, ridotta all’essenziale, funzionante.
In pittura il senso dell’economia determina forme e dimensioni, perfino tinte e inquadrature. In musica è lo stesso, affrontare la dimensione ridotta dell’economia nella musica non accademica richiede intelligenza, le mutazioni del suono che questo implica possono rendere le affermazioni necessarie troppo difficili ed impraticabili infine. La precisione di tono e di articolazione, al contrario può restituire alla composizione forza e consistenza, in una dimensione adatta ai tempi.
Il circolo di musicisti che si formò intorno a John Cage verso la fine degli anni Quaranta – Earle Brown, Morton Feldman, David Tudor e Christan Wolff – aveva uno spiccato interesse per le arti figurative. Già all’epoca dei suoi studi con Arnold Schönberg, nel 1935, Cage si era avvicinato alla pittura astratta – a Paul Klee, Vasilij Kandinskij e Piet Mondrian – iniziando egli stesso a dipingere. L’incontro più ricco di conseguenze fu tuttavia quello avvenuto alla Cornish School di Seattle con Mark Tobey; in particolare le pitture bianche di Tobey suggerirono a Cage l’idea di un’arte non rappresentativa, completamente astratta. Ed è forse una conseguenza dell’incontro con Cage il fatto che Tobey nel 1941 cominciò a studiare pianoforte e composizione.
Tra i compositori della cerchia di Cage colui che rimase per tutta la vita più vicino e fedele alla poetica dell’espressionismo astratto è senz’altro Feldman. Alcuni titoli di sue opere sono espliciti omaggi a questi artisti (For Franz Kline, De Kooning per es.); nel 1971 Feldman scrisse Rothko Chapel, composizione destinata allo spazio ottagonale di Houston per il quale Rothko, su commissione di John e Dominique de Menil, aveva dipinto alcuni dei suoi ultimi quadri.
Ottimo teorico, Feldman si preoccupò di segnare le coordinate del luogo in cui si muoveva, definendo luoghi e temperature come ogni esploratore dovrebbe. Ciò che distingue un buon compositore, a mio avviso, è spesso la sua lucida capacità di dire esattamente che cosa stia facendo, non per spiegare ma per sostenere, senz’altro non per giustificare ma per sustanziare:
“Al mio lavoro preferisco pensare così: tra le categorie. Tra tempo e spazio. Tra pittura e musica. Tra costruzione della musica e la sua superficie.”
Comporre tra le categorie significa anche lasciare emergere un’ “emozione che non viene afferrata in categorie dai filosofi”. Questa emozione scaturisce dall’ “esperienza astratta” termine con il quale Feldman caratterizza il suo lavoro, ma che in fondo designa la quintessenza del movimento artistico emerso a New York alla fine degli anni Quaranta. Infatti l’astratto dell’esperienza astratta non è l’opposto del concreto o del reale, ma è piuttosto ciò che non si lascia rappresentare nel quadro pur agendo sul piano sensoriale.
La precisione dei modi compositivi di Feldman è ben spiegata da Calvino quando ce ne suggerisce la necessità nelle dimensioni più vaghe, quelle per esempio in cui ci si trova durante transizione e dissolvimento. Le categorie determinanti della musica d’arte, come quelle di inizio e conclusione, perdono senso in tale concezione atmosferica dell’opera. Si comincia una composizione con un “salto come se si andasse in un altro luogo dove il tempo muta”.
Nell’opera d’arte non narrativa il moto a luogo lascia il posto ad una descrizione fuori dal tempo, in una dimensione senza inizio, che non può avere una vera e propria fine. Non si termina un’opera con un gesto di chiusura, ma si ‘abbandona’ semplicemente quel luogo. La risonanza nella nostra musica quotidiana, da Cage e pure da Feldman, consiste di questa sospensione della narrazione, all’abbandono delle strutture di tradizione tedesca e anche italiana.
I brevi pezzi per pianoforte di Wolff e Feldman nel quadro di un’arte degli ‘estremi’ il cui capostipite sarebbe Edgard Varèse, sono l’oggetto di ascolto più chiaro con cui familiarizzare, in una sorta di processo di sospensione della linearità storica che tanto ci sta a cuore. Separato dalle importanti strutturazioni di Milton Babbitt, Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono, Feldman ipotizza un decorso astratto, sospeso e giocoso. Questi piccoli pezzi generano una configurazione del tempo privo di figure principali, di temi dati, l’armonia è un campo allargato, la sonorità è tutto.
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