A parziale compensazione del periodo forse meno amato, ma certamente rilevantissimo anche in termini di controversia, del massimo creatore di contesto del XX secolo occidentale. Ascoltare attentamente il globale apprezzamento, a parte Stanley Crouch (ma chi ascolterebbe mai l’opinione di un critico, andiamo) ogni intervistato pone l’enfasi sul coraggio di Miles, ricco ed amatissimo balladeer, che abbandona la materia prima del suo successo per affrontare l’innovazione ancora una volta.
Nel rendersi conto di aver raggiunto l’apice della sua carriera compositiva con il secondo quintetto, Miles realizzò anche di aver perso l’attenzione dei giovani neri, ai quali intendeva invece rivolgersi e farsi apprezzare insieme a Sly Stone e Jimi Hendrix. Non che invitare la miglior parte dei giovani geniali fosse una novità per lui, ma da In a silent Way in avanti, questi giovani portarono un suono differente ed elettrico, radicalmente nuovo ed insopportabile quanto eccitante.
Credo, e in questo disco trovo un certo suffragio, che Miles non cercasse, in questo difficilissimo momento, un altro successo o maggiori ricchezze soltanto. Qui c’è la cronaca, nemmeno occulta, delle risoluzioni che un musicista di successo deve trovare per riprendersi i motivi necessari per fare musica in pubblico. Miles ci ha suggerito quanto il successo indiscriminato (senza cioè che alcuno si chieda con quale gente) tolga motivi, energia e la voglia di vivere stessa. Lo ha fatto a modo suo, senza cercare di essere popolare ma nemmeno cercando di non esserlo affatto.