Curiosamente, la ricerca di una musica americana davvero cosmica, capace cioè di volare al di sopra delle categorie merceologiche, ha prodotto soprattutto una grande quantità di martiri. Tim Buckley  è forse dimenticato da noi, probabilmente incompreso allo stesso modo. Gram Parsons e Jimi Hendrix fra i morti, David Crosby e Robbie Robertson tra i sopravvissuti, tentando di compilare i versetti della nuova scrittura, hanno compreso a spese loro che il pubblico ama i martiri molto più dei profeti.

Lo spazio che questo prodigioso trobadour, dotato della più estensibile e colorata delle voci, ha potuto riempire senza particolari ambizioni nella LA scintillante di fine anni sessanta, era uno spazio magico. Il suono prodotto in quella parte della terra in quei momenti riempie ancora molti spazi, non solo nostalgici.

Nessuna particolare sofferenza lo distinse nei primi anni, anche grazie ad un certo successo non solo locale, poi la maggiore comprensione, ed informazione, rovinarono tutto.

La sua non fu una cultura limitata: l’accesso al bebop degli anni cinquanta, così come ad ogni musica orchestrale romantica, alla musica elettronica induttrice di trance ebbero l’effetto di arricchire la ricerca di forme espressive le più varie e, nell’orizzonte di casa, le più complete. Il fuoco della musica diffusa sempre più globalmente, procurando l’accesso ad un universo caleidoscopico, scaldò e nutrì una intera generazione raccolta sulle spiagge del pacifico, lo stesso fuoco amministrò il sacrificio dei più incauti.