Grandi guai attraversavano l’europa nel 1972, ma nessun conflitto poteva competere con il gusto di uno sviluppo consumista e follemente allegro. In mezzo alla patetica genia progressive, megalomaniaca e logorroica, operavano piccole comunità geniali che pure non passavano inosservate. Il mercato in costante crescita lasciava spazio anche al meglio, permettendo il fiorire di nuovi giardini delle delizie.
E’ un grande mistero questo gruppo, eclettico e raffinato come la moda imponeva, ma ugualmente originale e perfettamente composto. Capaci di assimilare davvero ogni linguaggio gli si presentasse, in una dimensione tecnica cui pochi potevano aspirare, procedevano, anche se per un breve periodo, nella definizione di un suono autentico, delicato, confortevole.
Ascoltati oggi, questo e gli altri primi dischi suonano toccanti come allora, privi come sono di quella aggressività obbligatoria per affermarsi. Particolarmente densi di una sognante indulgenza per la letteratura secentesca più surreale, meno attentamente ricordata perfino negli anni di maggiore diffusione delle edizioni economiche dei classici, sembravano forse troppo eccentrici.
Eppure l’assenza di gusto dell’assolo esteso, l’unanimità ritmica e melodica, l’inclinazione ad una varietà timbrica imprescindibile li rendono davvero alfieri di una qualità popolare che rende onore. Tornare a cercare le edizioni limitate dei loro dischi è certo roba da appassionati veri, la specie che garantisce che la storia possa anche ripetersi.