A seguire un decennio di confusione machista, in cui si è lasciata produrre da suo marito con esiti controversi, la più rilevante songwriter di tutti i tempi e di tutti i mondi conosciuti è tornata. Ed è un ritorno a casa notturno, sussurrato con l’autorità necessaria affinchè ciò di cui avevamo bisogno potesse rientrare nelle nostre vite.

La musica di Joni Mitchell è sottovalutata, siamo distratti dalla sua voce, dalla sua scrittura ferma ed illuminante, dalla sua presenza incantevole ed importante, dalla sua abbaccinante bellezza. Ed è pure rilevante la sua capacità di arrangiamento, di produzione tecnica. In termini di confezione, della quale si prende spesso ogni responsabilità, è insuperabile.

Qui, sfrondata dal superfluo, splende in una luce siderale adattissima al nuovo corso, utile ai sopravvissuti dell’orribile decennio reaganiano per ricontarsi, per riprendere consapevolezza del proprio universo perduto. Così le canzoni, profondamente melanconiche e qualche volta davvero amare, assumono una vita propria che potrebbe deludere le attese degli abbronzati ammiratori di un Laurel Canyon che nel frattempo ha cessato di esistere.

Oggi Joni Mitchell non intende pubblicare altri dischi, ritirata a dipingere finalmente, a completamento di una vita riuscita anche nell’aver ritrovato la figlia perduta. L’arco creativo di questa donna è l’esempio migliore per tutta questa splendente nuova generazione di teppiste femmina che è tornata a solcare il nuovo continente, voglia il cielo che questa fragile tradizione prenda corpo maggiore. Questo livello di intensità è il parametro di riferimento.