Non esiste una musica italiana. A leggere le note di Umberto Eco che accompagnano questo disco, che potrebbe essere stato prodotto da Italo Calvino o Nanny Loy, si può immaginare un paese che possiede una lingua ed una cultura comuni, si può intravedere l’onirico paesaggio descritto da Fellini, Comencini, Olmi, ma in realtà è solo il paese dei nostri sogni, che non appartiene all’ordine dell’esistente.
Vorremmo tutti abitare l’Italia, un paese niente affatto minore nell’ordine internazionale. In quella piccola chiesa nella campagna aretina, o feltrina pure, potremmo intendere finalmente il senso del silenzio. Vorremmo attraversare il passo Pordoi, o quello della Futa, insieme ai ciclisti, ai sognanti motociclisti. Vorremmo avere un posto di prima fila ad un concerto di Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia, per permettere a noi stessi di abitare un mondo così difficile da scovare.
Ma il tempo in cui potevamo farlo ha cessato di esistere. Ora, nel nostro scaffale segreto ci sono questi oggetti luminosi che paiono non ricordare nulla delle corporazioni, o delle orrende speculazioni di stampo mafioso che sommergono, incrementalmente, ogni sentimento memorabile. Abbiamo forse l’opportunità, nostalgica e stravagante, di lasciar andare, nei grandi rotoli cinematografici della nostra coscienza, questo misterioso senso di un paesaggio sonoro denso di sapienza, e di poesia.
Hai descritto perfettamente le stesse mie riflessioni ascoltando il disco!
piccola grande meraviglia del belpaese!