Per comprendere davvero l’importanza e la bellezza della radio, prima delle sciocche nostalgie, si deve conoscerne la tecnologia elementare. La semplice combinazione di un lungo filo di rame avvolto su di una bobina, le cui diverse lunghezze precisamente individuate appoggiando un indicatore sono sufficienti, grazie ad una amplificazione rudimentale, per sentire il suono di mondi lontanissimi.
Nelle procedure di riproduzione della musica, non soltanto a considerare la rozza tecnologia, ci sono due avversari fondamentali: il rumore e la distorsione. Dal punto di vista di un integralismo tecnico, che pur ci fa sorridere, siamo ora ad un livello di purezza vicino alla perfezione. Curiosamente, non soltanto per quanto riguarda la radio, ambedue i difetti sono percepiti come parte integrante del carattere dei mezzi, al punto da venir considerati da molti come fenomeni del tutto musicali.
La nostra esperienza di ascolto è profondamente legata, liminalmente ma non solo, alle condizioni ambientali e psichiche in cui questo ascolto è avvenuto. Questo significa che oltre ai luoghi fisici in cui la performance musicale si realizza, e che non ci sarebbero accessibili se si volesse mantenere una qualità di ascolto degna della musica, gran parte del nostro ricordo riguarda la trasmissione a distanza, in una schizofonia domestica che è incrementalmente apparsa naturale.
La quasi totalità della nostra storia di ascoltatori è infatti contenuta in uno dei mezzi di riproduzione. La radio è stata un mezzo molto praticabile fin dalle primissime realizzazioni tecniche, ha permesso la diffusione su scala globale di performance fino ad allora riservate ai pochi fortunati presenti, fisicamente, all’orchestra. C’è un intera mitologia che riguarda la radio, un intero universo di trasmissioni prive di qualunque locazione. Il contenuto emotivo e psichico di questa mitologia è parte integrante dell’intera nostra esperienza musicale.