Dice che sono nati ispirati dai Sex Pistols, Elizabeth Frazer, ma non è affatto vero che vengono da lì, ci vogliono millenni per avere un gruppo come questo. Certo, ci sarebbe voluto uno di quei produttori istruttivi, quelli che sanno meglio di te cosa stai facendo. Invece questo trio di sciamannati è nato e cresciuto sotto l’ala di un geniale e silenzioso Ivo Russell Watts, l’uomo che ha elevato l’oscurità dell’Englishness a prodotto pubblicitario senza cedere di un passo sulla mainstream. Senza toccare nulla, lasciando i ragazzi liberi di impiastricciarsi, li ha condotti ad un sinuoso successo planetario, quasi invisibile.
Non ha nessuna immagine questo gruppo, niente sessismo da boy(o girl)band, niente luci e paillettes nei programmi giovanili di channel four, solo ritmi semplicissimi e chitarre irriconoscibili, poche per la verità, e questa voce, questa voce. E’ sempre buffo che tutti conosciamo il suono, l’aura di una band senza conoscerne affatto i contorni, lo “stile” visivo e drammatico.
Il peso ed il valore di questa importantissima 4AD, etichetta nobile e piena di grazia, saranno riconosciuti solo nel libro della canzone nei secoli che qualcuno prima o poi scriverà, in chissà quale lingua. Intanto è grazie a questo disco che tutto il mondo è dovuto venirci a patti, riconoscere che Dark non è una categoria merceologica da Grand Guignol, ma uno stato dell’anima, condiviso da milioni di umani che nondimeno desiderano la luce. Questo è il punto, taumaturgico ed illuminante, in cui tre ragazzi dalla vita difficile trovano le chiavi di un paradiso acessibile, abitabile, e ne diffondono il profumo. Certo, di promesse ce n’è tante, questa è mantenuta.