English? You’re welcome!
Ma pensate, dalla infantile genia pop londinese dei primi ottanta, scossa e priva di direzione, emerse uno dei talenti musicali più fini e longevi che abbiamo sotto mano, uno sulla cui capacità prospettica, di immaginazione preveggente, possiamo contare. David Sylvian, che vive in quell’inframondo lisergico e produttivo che la sua condizione di star ben amministrata permette, manda segnali utili e costruttivi per noi quaggiù nel caos. Questo qui è sicuramente un apice.
Un tanto perchè non voglio sovraccaricare uno degli eroi miei personali, di tutti i tempi, quell’Holger Czukay che fu il primo, millecinquecento anni fa, a mescolare allegramente ritmo rock, rumore elettronico e found objects sonori ridendo e scherzando sul palco della miglior banda kraut rock di tutti i tempi: Can.
La cospirazione dei due è celeste. Mi piacerebbe parlare per ore della naiveté tecnologica, del caos progettuale, della serenità in cui questi due serissimi figuri hanno realizzato quest’opera deliziosa che piacerebbe tanto anche ai più scontrosi integralisti “classici” (bisogna che ci fermiamo una volta a parlare con loro). Perchè è inimmaginabile oggi, data una quota di intelligenza e di esperienza sufficiente, negare l’opportunità, la dolcezza, la necessità di questo suono.
E’ bello osservare un oggetto sonoro vent’anni dopo la sua realizzazione, bello constatare che il nostro godimento allora era solo parziale e che siamo ora in grado di comprendere meglio nuove nuances, dettagli di un evento che non è, grazie al cielo, perduto nel tempo. E’ bello insomma ritrovare la speranza, magari futile ed incosciente, che tutto il tempo passato ad esaminare confezioni di musica registrata non sia stato sempre tolto ad occupazioni più degne.