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Quando, nel marzo del 1968, Buckley apparve per cantare una versione solitaria di Song to the Siren alla fine del programma TV dei Monkees c’erano già tutte le premesse di questo formidabile lavoro, oltre che quelle per cui divenne uno dei molti artisti scancellati dall’industria editoriale stupida e ferocissima della prima metà degli anni settanta.

La connessione fra il pop, specie quello di matrice californiana, e le forme più intense della musica contemporanea era fortissima in quell’incredibile decennio in cui tutto il meglio ed il peggio di molte decadi a venire prese forma e consistenza. Gli anni sessanta del XX secolo sono quelli in cui fu possibile vedere in modo più chiaro la complessità dei processi del divenire umano contemporaneo. Anni in cui era possibile che gli artisti si ponessero come ponti fra l’inesprimibile suono cosmico e le orecchie umane, anni in cui il suono della voce umana in occidente poteva essere normale.

Quando gli angeli che scelgono di vivere tra gli uomini riuscivano ad evitare di venir trattati come cani “di principio”, accadeva che il suono della loro voce potesse essere pubblicato, distribuito, diffuso su scala planetaria. Poteva accadere che entrassero nelle case di noialtri fanatici, sempre in cerca di suoni che potessero corrispondere alla categoria Reale di “Veri”, “Autentici”, quindi nutrienti e ricostituenti. Ma nemmeno in quegli anni la vita pubblica degli angeli poteva durare a lungo, che gli umani non desiderano per sè e per i propri figli una “salvezza”, ma piuttosto il massimo del comfort.

Così, questo Chaty Berberian della popolazione Pop, questo veicolo di energie serafiniche, venne trattato come il peggiore dei traditori del verbo, liquidato come folle e escluso dalle grandi opportunità del successo discografico. Molti anni dopo, un suo pari con lo stesso cognome affrontò un destino molto simile ma, essendo tempi molto meno ingenui, stabilì anche di congedarsi in modo meno crudele e pietoso, riemerse sull’altra sponda del fiume infatti, e se ne andò di nuovo anonimo.