Dei molti prodigi intervenuti nella vita di questo strano umano voglio dire. A cominciare dalla sua apparente popolarità, il più inspiegabile di tutti, a proseguire con la sua capacità di utilizzare un vocabolario senza pari, come ad investigarne la necessità. Poi l’impegno a mantenere una integrità assoluta, priva di concessioni anche minime a chiunque non sia parte del suo famosissimo trio, la capacità di produzione, interrotta solo da una grave forma di depressione fisica, emotiva, quella dei mistici.

Il genio di Keith Jarrett, il daimon che lo pervade da quando era un ragazzino che passava il suo tempo sotto il pianoforte, è privo di pietas, lo costringe a performances immense, in un continuum percepibile solo come tale, che deve essere pubblicato in serie che durano ore, anni. Lo obbliga ad un insostenibile stato di eterna infanzia, come se la ricerca fosse solo cominciata. Non ci sono equivalenti nella dimensione del suono organizzato, effimero, ex-temporaneo cui noi possiamo avere accesso: è forse questa la spiegazione dell’aura sacrale che intorno alla sua presenza si svolge, al reale silenzio del pubblico, che in una venerazione captiva accetta di stare.

Preferisco questo lavoro, autentico turning point tecnico, emotivo e progettuale, perfino alle altre immagini cui mi riferisco: Facing You, Vienna Concert, Tribute, che sarebbero perfettamente sufficienti in sè, perchè esso è corroborante l’intera mia interpretazione del dovere del musicista contemporaneo. Qui si immagina un mondo in cui la rappresentazione musicale è determinante, ricreativa ed in perfetto equilibrio, il tutto mentre anche una qualità rilevantissima di ascolto riesce a porsi in atto.