E’ davvero singolare la capacità che hanno i canadesi di connettere la grande tradizione bretone (celtica) e britannica con le istanze del proprio tempo, a cominciare dalla Band, la leggendaria formazione vestita come i padri pellegrini che infiammava le platee di Bob Dylan negli anni sessanta, a continuare con Neil Young, Joni Mitchell, Leonard Cohen. Molto meno giovanilisti dei bamboccioni del rock’n’roll i bardi del grande nord sono sempre stati capaci di farsi intendere nella vecchissima e poco innovativa Europa.

Poi Brian Eno passò un’estate a Toronto, Daniel Lanois registrò un fuoco indimenticabile allo Slane Castle e la dimensione divenne globale, colossalmente nuova. La profonda presa di distanza del modo di intendere la registrazione e la performance, che gli U2 hanno portato, deve molto a questi due batman e robin del rock.

Ma Daniel Lanois di certo non è un gregario, lo splendore della sua prima pubblicazione, Acadie, è ingrandito, completato, risolto qui, in questo sferragliare a volume molto più alto, insieme alla miglior genia di New Orleans (come nel Quebec anche qui qualcuno parla ancora francese).  La bellezza e l’originalità di questo disco, in cui tradizione ed innovazione sono incastonate una nell’altra, sta nella vitalità, nella fermezza, nel coraggio di starsene sempre nel mercato senza badare nemmeno minimamente alle norme di questo mercato, che non c’è modo di partecipare alla vita se non trascenderne completamente i clicheé, le trappole ideologiche e semantiche che non sono mai tradizione, ma solo consuetudine.